”PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO. DIRITTO DI ACCESSO. COMUNICAZIONE DI AVVIO DEL PROCEDIMENTO E PARTECIPAZIONE” (RELAZIONE TENUTA AL SEMINARIO DI STUDIO IN DIRITTO AMMINISTRATIVO - CERVARO 5/2/2009)

Spero di non deludere le aspettative che mi hanno rappresentato con atto di fede alcuni dei colleghi qui presenti, perché parlare in un seminario di diritto comporta l’impegno di dire qualcosa di nuovo o di diverso dalla semplice lettura delle norme. Io mi annoio quando stando dall’altra parte sento qualcuno che si limita a leggere le norme: quelle me le so leggere da solo. Mi aspetto qualche riflessione nuova.
E la 241 è talmente nota, talmente abusata che parlarne ancora con un intento didattico significherebbe annoiarvi. Poi non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno perchè non sono e non mi sento professore e non ho titoli per farlo. Mi definisco un manovale del diritto, perché la vita presenta piccoli casi pratici, che a volte risolve meglio il muratore con la cazzuola che non Renzo Piano con la sua creatività

Avendo constatato le scorse volte che l’uditorio è non solo di colleghi ma anche di funzionari ai quali poco interessano risvolti dommatici, mi sembra più giusto offrire un contributo di quotidianità. Quindi, racconterò di accesso e di partecipazione, sottoponendovi le mie idee in proposito, nate dall’esperienza ormai quasi trentennale di avvocato. .

La 241 –sentite dire in tutte le salse- ha segnato una svolta. Voglio sfatare questo luogo comune. Non ha segnato niente, perché se continuano corruzione e intrallazzi, se per avere un permesso di costruire occorre un tecnico amico degli amici o parlare con il politico di riferimento, la 241 è rimasta una bella intenzione.
Allora è il caso di capire come la 241 può essere adoperata perché possa costituire veramente una svolta.

La 241 è legge del procedimento, non sul procedimento, nel senso che non si limita a regolare il procedimento ammini-strativo ma è la linea guida per sviluppare un corretto e sano procedimento amministrativo, tanto da meritare l’appellativo di “legge del giusto procedimento”: se si rispetta la 241 il procedimento riesce snello, utile, fa risparmiare tempo e denaro e soprattutto –come dirò appresso- evita di finire sotto processo.
Mi dispiace dover andare un po’ di contrario avviso al dott. Miele che molti di voi hanno sentito due settimane fa perché un conto è quello che è scritto nella legge altro è la realtà di tutti i giorni che funzionari e avvocati vivono. E’ inutile pensare che il Giudice –civile, penale o amministrativo- possa risolvere i problemi, soprattutto e innanzitutto perché in genere la sentenza arriva tardi. La 241 ci permette invece di risolvere i problemi alla radice e con minor fatica.
Intanto, sul primo argomento, l’accesso, tutti sanno che vuol dire, per cui può essere interessante affrontare casi limite.
Sembra quasi che qualsiasi richiesta debba essere soddisfatta dalla PA, qualsiasi istanza meriti risposta. Non è così: vanno respinte le richieste di informazioni e chiarimenti che non contengano richiesta di visione o copia di documenti amministrativi. La legge, infatti, si riferisce ai soli «atti esistenti fisicamente» presso la pubblica amministrazione. Quindi, attraverso l’accesso non si può imporre alle amministrazioni di attivare procedimenti che richiedono l'acquisizione o l'elaborazione di dati, statistici o conoscitivi. La giurisprudenza ha escluso che mediante l’accesso possa chiedersi l’elaborazione ad hoc di vere e proprie relazioni, anche in considerazione del fatto che i dati statistici sono informazioni e non documenti.
Ad esempio, m’è capitato di leggere una richiesta di conoscere quanti elettori avessero preso la residenza in un dato comune nei sei mesi precedenti le elezioni comunali: non è una richiesta soddisfacibile, perché comporta una attività di ricerca e classificazione, che non può essere oggetto di accesso.
Ancor, in tema di procedura concorsuale, il Consiglio di Stato ha ritenuto che non può chiedersi l’accesso ad atti di cui non sia certa l’esistenza: se la richiesta fornisce argomenti ed indizi sull’esistenza di atti amministrativi è l’amministrazione che deve provare la loro inesistenza e il giudice può disporre con un commissario ad acta la sola ricerca materiale dei documenti.

Una precisazione: spesso si rifiuta di esibire un documento perché non è atto dell’Ufficio interpellato. E’ un errore. Anche recentemente il CS (22/12) ha deciso che l'accesso può essere esercitato nei confronti della singola amministrazione che detiene i documenti che interessano.

Va anche detto che l’accesso non si traduce in un controllo generalizzato dell’attività amministrativa, cioè il quidam de populo non può chiedere tutto il carteggio di una gara o di un appalto o di un’opera pubblica paventando irregolarità, perché il semplice cittadino che non ha un interesse diretto a controllare la PA, ma deve semmai rivolgersi agli organi ed agli uffici deputati a questo. Ad es: l’autorità di vigilanza. Poi vi sono atti c.d. interna corporis che non sono soggetti ad accesso da nessuno. Ad es: l’appaltatore di un’opera pubblica non può accedere alla relazione del DL o del col-laudatore, che valutino le sue riserve.

Il tema dell’accesso si incrocia poi con la privacy, perché la quasi totalità delle volte l’accesso ha ad oggetto atti riguardanti altre persone. Pensate ad un progetto relativo ad un permesso di costruzione, alla documentazione di una c.d. 104, che addirittura, riguardando la salute sono dati supersensibili.
Tutte le volte che un accesso riguarda documenti di altri, bisogna interpellare il terzo. Questa è una modifica della 241, già in vigore da due anni, che non vedo costantemente applicata. Lo ricordo ai funzionari: quando vi chiedono documenti di terzi, dovete fare un interpello, altrimenti gli avvocati vi denunciano.
Mi capita spesso poi di essere interpellato da funzionari sulla possibilità di aderire o meno a istanze cioè se si può o meno dare una certa informazione o un certo documento.
E’ un modo sbagliato di affrontare il problema. Dinanzi ad una richiesta di accesso la prima cosa da verificare sono i due elementi essenziali dell’accesso: l’interesse e la disponibilità del documento.
Molto spesso la richiesta viene da ESPOSITO GENNARO CITTADINO CHE PAGA LE TASSE. Ma PRIMO: Esposito Gennaro ha spiegato qual è il suo interesse? SECONDO: ha veramente interesse al documento? Quindi prima di chiedersi se un documento si può dare bisogna farsi queste domande.
L’interesse deve essere espresso, cioè deve risultare dall’istanza e deve essere attuale. Attuale significa che deve poter soddisfare un bene della vita immediato. Inoltre, dice la giurisprudenza, deve essere diretto e concreto.
Che significa? Significa che non occorre necessariamente un interesse collegabile ad un eventuale ricorso o in generale ad una azione giudiziaria, ma basta che il richiedente di-mostri che gli atti oggetto dell'accesso abbiano o possano avere effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, indipendentemente dalla lesione di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo.
Basta un esempio pratico per capire. Tizio chiede di accedere ad una pratica edilizia di Caio, suo vicino, speigando l’interesse che vuole verificare se sono state violate le distanze legali. Ebbene, un conto se la costruzione è in corso, poiché è possibile sia il ricorso al TAR contro il PdC sia la denuncia di nuova opera in sede civilistica; altro è se la costruzione è già realizzata ed è possibile solo la tutela in sede civile con un giudizio ordinario di negatoria servitutis. Infatti, nel primo caso, v’è un interesse concreto e attuale all’accesso, poiché è già da subito possibile sia il ricorso al TAR che il ricorso in via cautelare al Giudice ordinario così da impedire la realizzazione; altro è quando la costruzione è realizzata perché l’interesse può non essere né concreto né attuale, in quanto la tutela civilistica delle distanze prescinde dal permesso di costruire, il quale, lo ricordo, è rilasciato sempre impregiudicati i diritti di terzi.
Nel settore dell'edilizia comunque la giurisprudenza è generosa. Secondo l'art.31 L.U chiunque poteva prendere visione della licenza edilizia e del progetto e ricorrere. L’art.10 Legge Ponte limitò l’accesso alla sola visione, ma la disposizione è stata abrogata e non è stata recepita dal TU, che si limita ad attribuire allo sportello unico la competenza a decidere sulle istanze di accesso.
Tuttavia, la giurisprudenza insegna che l’accesso in materia edilizia è consentito a chiunque vi abbia interesse. Chi è però chiunque?
Secondo la giurisprudenza l’accesso è chi può proporre ricorso, cioè tutti coloro che la giurisprudenza stessa individua nel rapporto di cd. «vicinitas» ossia fanno parte a qualunque titolo di un determinato contesto urbanistico. Quindi, anche i non proprietari, che hanno però interessi di vita -ad esempio, anche di natura economico-commerciale- Il conteso urbanistico a sua volta va inteso non come zona in senso stretto ma come entità territoriale unitaria e omogenea secondo la legge urbanistica.
E’ attuale il problema delle stazioni radio: la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto di accesso a chi abbia interesse a verificare il rispetto della norme sia sulla proprietà, sia urbanistiche in senso stretto, sia sulla salute e sull'ambiente.
Ed ecco che alcune pronunce sono andate al di là del parametro della cd. vicinitas e hanno riconosciuto legittimazione all'accesso in capo a qualsiasi soggetto abitante nel Comune, ritenendo che per il solo fatto di abitare sussiste un interesse personale e concreto. Essere abitante di un determi-nato Comune è sufficiente, secondo questo orientamento, a radicare l’interesse giuridicamente rilevante a conoscere i titoli edilizi rilasciati. Ma un interesse così concepito finisce con il coincidere con l'interesse all'ordinata e legittima gestione del territorio.
Mi sembra un’interpretazione troppo generosa, ma l’esistenza di questo orientamento dimostra che la materia è in evolvendo.

Dicevo della privacy. Nel caso in cui i documenti richiesti contengano dati comuni della persona, il diritto di accesso prevale. Se invece i documenti contengono dati sensibili e giudiziari, l'accesso prevale sulla riservatezza solo se risulti strettamente indispensabile.
Ipotesi remota in campo edilizio, ma frequente negli altri, è che i documenti contengano dati cd. «super sensibili », cioè dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. In questo caso, l'accesso è consentito solo quando si intende tutelare un diritto di rango paritario, cioè un diritto della persona o altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile.
M’è capitato il caso di un’insegnante che s’è vista scavalcare nella graduatoria d’istituto da colleghi che vantavano preferenza ex lege 104, perché assistevano parenti invalidi. Il CS ha ritenuto che l’accesso ai documenti di invalidità contenenti informazioni sulla salute dei familiari assistiti, fosse possibile perché la riservatezza in questo caso cede il passo al diritto al lavoro.
Tuttavia, ha concesso la sola possibilità di vedere i documenti non di estrarne copia o prendere appunti, ritenendo questa limitazione sufficiente a tutelare la privacy.
La stessa limitazione è adottata per tutelare il diritto d'autore. Parliamo di elaborati progettuali. La giurisprudenza ha af-fermato, al riguardo, che l'accesso è dovuto –ma nei limiti della visione- perché il diritto di proprietà intellettuale è ga-rantito in sede civile e penale, con i mezzi ad hoc predisposti dall’ordinamento.
Discorso a parte vale per le c.d. informazioni ambientali.
La giurisprudenza ha riconosciuto a quest’ambito una prevalenza assoluta tanto che non ritiene necessaria nemmeno la precisa indicazione degli atti richiesti, ritenendo sufficiente una generica richiesta di informazioni per far sorgere in capo alla p.a. l'obbligo di acquisire notizie sullo stato dei luoghi, di elaborarle e comunicarle al richiedente. Si pensi ad esempio all’inquinamento acustico: la PA compulsata ha lobbligo di fare rilievi sulla tollerabilità e comunicarli.
Ma in questa materia v’è espressa deroga alle regole della 241 perché il D.Lgs.n.195/2005 ha introdotto ad hoc il principio di accessibilità generale e indifferenziata, per un controllo diffuso sulla qualità ambientale.
Il Consiglio di Stato, però, ha ristretto anche queste libertà quando entrano in gioco titoli edilizi.
Per esempio, è stato rifiutato l’accesso ad una associazione ambientalistica ai permessi di costruire rilasciati da un Co-mune compreso in un Parco nazionale, perché non tutte le attività svolte all'interno di un parco hanno valenza ambientale. Il CS ha ritenuto che la definizione di «ambiente» è più ristretta e quindi non è da confondere con l'urbanistica e l'edilizia: l’interesse ambientale –dice il CS- riguarda le misure che incidono o possono incidere negativamente sulle componenti ambientali. Quindi, non interventi privati o particolari, ma interventi di carattere generale.
Ho appena accennato alla precisione dell'istanza di accesso. Spesso leggo interlocutorie che chiedono di specificare numeri e date. E’ un errore: l'esigenza di puntuale indicazione degli estremi dei documenti non deve esasperare nel formalismo.
Quindi, non occorrono tutti gli estremi identificativi (organo emanante, numero di protocollo, data), basta indicare l'oggetto e lo scopo del documento, se mettono l'Amministrazione in condizione di comprendere la domanda. Se voglio guardare il progetto del vicino, non devo specificare il nume-ro di permesso di costruire o il nominativo, basta che chieda di visionare il progetto con il quale è stato consentito di edificare sulla particella x del foglio y.

E sull’accesso credo di aver dato le indicazioni principali con l’avvertenza che non c’è una risposta generale ai possibili interrogativi e bisogna andare nel caso specifico, non essendo possibile una generalizzazione.

Un risvolto più specifico della legge 241 è la partecipazione, principio da leggere nell’ambito dell’art.97 della Cost., perché è lo strumento attraverso il quale si realizza non solo la trasparenza dell’agere amministrativo ma il buon andamento dell’amministrazione. L’amministrazione non è qualcosa di staccato dalla gente, ma dev ‘essere il tavolo di casa attorno cui si riunisce la famiglia per decidere le proprie strategie.
Invece la partecipazione è vista spesso con fastidio dal funzionario o dal RUP perché viene interpretata come lo strumento attraverso il quale i privati creano problemi.
Ma guardiamo con un altro occhio.
Quando inizia un procedimento amministrativo finalizzato a qualsiasi cosa, è utilissimo far partecipare gli interessati, perchè in questo modo si saprà subito quali saranno i problemi che potranno essere proposti e si discuteranno subito, prima di sbagliare o far danno.
La settimana scorsa un sindaco che vuol fare un certo edificio mi ha raccontato con preoccupazione che si era già sparsa la voce in paese sul sito dove dovrebbe sorgere ed aveva già avuto rimostranze, quando l’idea è quasi solo in pectore.
Gli ho semplicemente consigliato di “aprire il procedimento”, cioè mandare una informativa immediata ai proprietari interessati, assegnando un termine per le osservazioni. In questo modo saprà subito se le opposizioni sono fondate o meno e non correrà rischi di ricorsi, battute d’arresto, sospensive e sospensioni di lavori, perchè una volta conosciute tutte le problematiche potrà discuterne con gli interessati, contrattando eventualmente contropartite, ottenere addirittura la cessione bonaria, evitando procedure espropriative. Comunque andrà avanti più spedito perchè nei provvedimenti a seguire bisognerà rispondere motivatamente a quelle osservazioni, cosicchè non verranno sempre riproposte e se proprio l’interessato non è convinto della risposta, proporà ricorso subito, prima di mettere in cantiere l’opera.

Vedete, nel diritto anglosassone è normale che si inserisca nel procedimento una fase di dialogo che viene chiamata moral suasion, non c’è bisogno di conoscere l’inglese significa persuasione morale, cioè una fase in cui il privato può tentare di convincere il funzionario di avere ragione a lamentarsi non solo su basi giuridiche ma anche di buon senso cioè di opportunità e di utilità amministrativa. Il funzionario spiega qual’è la posizione o l’esigenza della PA e ciascuno cerca di ottenere il più possibile, senza ricorrere al Giudice.
Una cosa del genere non è perdita di tempo, è guadagno, perché previene i possibili ricorsi: il funzionario sa subito cosa ha da dire l’interessato e l’interessato viene a sapere subito dove l’Amministrazione vuole andare a parare.
E in questa fase noi avvocati dobbiamo imparare a interveni-re; dobbiamo imparare a trattare noi con i funzionari e cercare noi nel dialogo preventivo la composizione dei rispettivi interessi, salvaguardando la parte al di fuori e prima della sede giudiziaria. Un po’ come si fa con i sinistri stradali: la parte deve ottenere il massimo possibile, il funzionario deve evitare la denuncia di abuso di ufficio, la responsabilità contabile, l’azione risarcitoria. In questo modo la PA evita di essere bloccata per tre.quattro anni –se bastano- da una sospensiva o di dover tornare su una pratica –ad esempio edilizia- tre o quattro volte, mentre il privato evita un ricorso all’AG che gli porta via denaro, tempo e salute.
Vi porto degli esempi specifici.
Pochi anni dopo l’inizio della professione, mi capitò di occuparmi del rifacimento del lungomare di una nota località bal-neare. All’epoca non c’era la 241, ma la legge 1/78 nello specifico imponeva una fase partecipativa.
C’era stato un progetto che prevedeva espropri di proprietà private che costeggiavano la strada esistente (giardini, pertinenze di ville, aree condominiali). Dopo aver segnalato gli errori di valutazione, fui costretto ad andare al TAR. Il TAR diede subito una sospensiva e il litorale rimase bloccato per molto tempo. Alla fine il TAR decise che gli espropri erano illegittimi soprattutto apprezzando positivamente le osservazioni dei proprietari e il litorale non fu finito se non dopo molto tempo, poiché dovè essere ritoccato il progetto, accogliendo le principali richieste.
Un altro esempio. Qualche anno fa a Cassino fu redatto il piano carburanti, che nel giro di tre anni voleva far sparire i distributori dal centro. Beh lo sapete stanno ancora là, perché lo impugnai facendo presente che i gestori non erano stati consultati e per questo era stato redatto un piano sbagliato, mentre i gestori avrebbero potuto far presenti le loro esigenze e suggerire criteri -che indicai nel ricorso e non sto qui a spiegare- per un piano migliore. Il TAR Lazio rigettò il ricorso senza entrare nel merito, ritenendo che la partecipazione fosse stata assicurata con la pubblicazione del piano, mentre io sostenevo che non bastava perchè riguardando una specifica categoria di soggetti in numero limitato e individuati, andava fatta la notifica preventiva ad personam prima di redigere le linee guida del piano. Dovetti andare al Consiglio di Stato che mi diede pienamente ragione.
Lo stesso accadde a Napoli, al Parco Edenlandia. Edenlandia, durante lavori di ristrutturazione del recinto, demolì un portico, una vera fetenzia diventato una sorta di gabinetto pubblico. Subito la Sopraintendenza insorse sostenendo che era un’opera d’arte e ingiunse la demolizione delle ope-re eseguite e la ricostruzione del portico, chiedendo poi in sede civile danni per 300 milioni, poiché il portico era stato individuato come bene protetto.
Ma la dichiarazione di interesse artistico era stata adottata senza la partecipazione dell’interessata, che non ne sapeva niente. Il TAR rigettò il ricorso, ma il Consiglio di Stato l’accolse, con una sentenza che segnò una regola importante: i beni di interesse che non sono riconoscibili come tali (come ad esempio il colosseo o la fontana di trevi) devono essere tutelati con un provvedimento che viene dopo un procedimento a cui partecipa il privato interessato. E il principio adesso è consacrato nel TU.

Cosa voglio dire: voglio dire che in questi tre casi, ma ve ne potrei portare tantissimi, la PA ha perso tempo e danaro perché non ha sollecitato il privato a discutere prima di muoversi.
Ma non è solo questione di tempo e danaro è anche questione di agire bene. Art.97.
E qui il ruolo dell’avvocato è indispensabile, a patto che conosca qualcosa di tecnica e di norme specifiche.
Non è facile, lo so, ma ci viene chiesto un salto di qualità.
Diceva il mio professore di amministrativo che il diritto amministrativo appunto è fatto di pochi principi generali e di una marea di leggi speciali. Ma è proprio per questa peculiarità che dà a noi avvocati la possibilità di spaziare con le idee e con l’originalità delle soluzioni.
Qualche altro esempio. Spesso quando c’è bisogno di un permesso di costruire si percorrono strade sul filo dell’illegalità. Il dottor Taviano vi dirà dopo di me in materia.
Quando si vuole forzare la mano si va dal Sindaco o dal Tecnico comunale e si chiedono istruzioni (tra virgolette). Molto spesso non ce ne sarebbe bisogno, perché con la 241 bastano un po’ di studio e di buonsenso e la moral suasion. Ovviamente devono incontrarsi un avvocato esperto o un tecnico di parte bravo e ad un tecnico comunale con un minimo di elasticità mentale.
In un paese delle nostre zone che non sto a nominare non c’è Piano regolatore, perché non è stato mai fatto, però alla buona di Dio, come si suol dire, si rilasciavano allegramente permessi di costruire.
Un imprenditore che lavora con grosse macchine non aveva un posto dove parcheggiarle e farsi un ufficietto dove mettere la contabilità e una segretaria. Aveva un terreno, ma senza strumento urbanistico non poteva farci quasi nulla. Allora provò ad ottenere un permesso di costruire –come gli altri in paese- ma poi si stancò e montò un capannoncino e un ufficio prefabbricati, abusivi. Il vicino fece la spia, arrivarono i carabinieri e gli sequestrarono tutto. Ordinanza di demolizione procedimento penale.
Invece il metodo c’era e bastava conoscere la legge per risolvere il problema.
Per lo specifico delle attività produttive la legge consente di agire in deroga, presentando un progetto e ottenendo una conferenza di servizi, alla quale partecipa anche la Regione, titolare del potere generale sul territorio.
Ci siamo messi a tavolino con il tecnico comunale e l’assessore all’urbanistica, per il Comune, il tecnico di parte ed io, per il privato. Ho spiegato questa via d’uscita, che è piaciuta e ha convinto (ricordate la moral suasion). Stava per andare tutto bene, quando la Regione –informata che il Comune non ha un piano regolatore- ha diffidato a revocare tutte le concessioni rilasciate nell’ultimo decennio e il tecnico comunale ha ritenuto di soprassedere all’esame di nuove pratiche per cui sono dovuto andare al TAR, che ha già fissato un’udienza camerale per il 12 febbraio che dovrebbe ri-solvere il problema. Ma tutto questo non in anni, ma in sette mesi.
Una cosa simile era successa in un Comune dell’alto casertano, dove era scaduta una zona C, cioè una zona dove per costruire ci sarebbe bisogno del piano particolareggiato o della lottizzazione. Ma la zona era stata stravolta da costruzioni abusive condonate, l’urbanizzazione primaria era stata realizzata dal Comune, e dunque era anacronistico pensare di poter impedire di costruire.
Ho tentato di farlo capire alla Commissione edilizia e al tecnico comunale, illustrando con una relazione di fattibilità urbanistica che la normativa e soprattutto la giurisprudenza dicevano questo, ma non mi si è ascoltato. il TAR invece mi ha dato ragione. E l’amministrazione e il tecnico hanno dovuto non solo rilasciare di corsa il permesso di costruzione ma pregare il mio cliente di non citarli per danni.
Cosa voglio dire con questi esempi: mettersi a tavolino è utile a tutti, soprattutto ai funzionari. Nei piccoli comuni specialmente, il tecnico comunale ha spesso solo una grande esperienza pratica, ma –come ha detto il cons. Miele due settimane fa- il diritto amministrativo corre ogni giorno e per chi ha pesanti incombenze d’ufficio è difficile starci dietro per cui può sfuggire una legge, una circolare oppure non si ha tempo di avere un’idea.
Mettersi a tavolino con il tecnico di parte, con il commercialista o con l’avvocato che ne capiscano qualcosa è indispensabile per avere indicazioni, idee e strumenti di lavoro e di analisi. A volte per esempio capita di avere a che fare con tecnici giovani, anche bravi, ma privi di esperienza: il confronto con un tecnico di parte anziano, che magari ha esperienza di commissione edilizia o lunga vita professionale è formativo e aiuta.
Ma bisogna avere la mente libera, sgombra.
Oggi la posizione del funzionario è diversa non solo per i motivi terroristici che ha spiegato il cons Miele, ma perché è responsabile del procedimento quando anche non di area e come tale prende soldi per assumersi responsabilità.
Capisco che spesso responsabile d’area è un anziano impiegato abituato alla mentalità ante Bassanini secondo cui il procedimento amministrativo è coperto da una specie di se-greto istruttorio. Ma se il cittadino va dal Giudice -come ha detto il cons Miele- il funzionario non è più coperto del muro di gomma dell’anonimato, risponde di persona.
Questo da molti funzionari è stato inteso non come incentivo a favorire la partecipazione e dunque dialogare sui problemi ma come un freno: meglio attenersi alla legge strettamente, così nessuno mi potrà denunciare. Quante volte sento dire: vai al TAR se te la da il TAR, non ho problemi. Vero, ma è anche vero che non vi liberate del peggio: l’azione di risarcimento oppure la rivalsa dell’amministrazione o peggio ancora la Corte dei Conti o il non plus ultra la denuncia per abuso d’ufficio.
E’ vero pure che per abuso d’ufficio non viene condannato più nessuno a meno che non abbia evidentemente fatto un imbroglio, ma sono comunque problemi.

Una parentesi. Una recente sentenza della Cassazione 33844 27-06-2008 spiega che per l'abuso d'ufficio il funzionario risponde solo se ha voluto causare un imbroglio e non semplicemente se l’imbroglio era possibile e prevedibile. Cioè deve esserci dolo specifico, mentre deve escludersi l’abuso se il funzionario comunque ha perseguito l‘interesse collettivo.
Ad esempio, il responsabile di un ufficio tecnico comunale che per ingerenza politica rilascia un'autorizzazione edilizia, omettendo attività istruttoria e basandosi coscientemente su un progetto che rappresenta falsamente i luoghi commette abuso di ufficio. Il mobbing è abuso d’ufficio: penalizzare un dipendente assegnandolo ad un incarico meno qualificante, arrecandogli un danno alla salute per il disagio e la frustrazione. E’ abuso d’ufficio consigliare agli utenti uno specifico avvocato o un qualunque professionista, perché si lavora in quello studio o perché se ne riceve contropartita.
Invece, avere elasticità mentale non è abuso di ufficio. Ma nei funzionari riscontro spesso una certa ritrosia a soluzioni innovative, interpretative.
Mi rendo conto che interpretare una legge non è facile, bisogna essere non solo avvocati ma giuristi.
Oggi ci insegnano che l’interpretazione letterale è l’ultima spiaggia, c’è prima l’interpretazione logica, poi quella sistematica, poi lo spirito del legislatore, la cd. mens o ratio legis, poi c’è l’interpretazione costituzionalmente orientata, che non è una novità, ma ce ne dimentichiamo spesso –e mi rivolgo specialmente ai colleghi- e cioè quando una norma si presta a due o più interpretazioni bisogna leggerla in modo che prevalga quella più aderente alla costituzione. Ora ci si mettono pure le direttive europee… che possiamo pretendere dal geometra capo dell’ufficio tecnico o dal ragioniere della contabilità o dal maestro elementare che si occupa di commercio. E’ questa la realtà dei nostri comuni piccoli.
Eppoi non basta leggere le riviste specializzate, l’evoluzione sta nella giurisprudenza e nella pratica quotidiana, elementi che la partecipazione –specialmente dell’avvocato- può procurare al responsabile del procedimento.
Dunque la partecipazione non deve essere evitata dai funzionari, dev’essere pretesa. E l’avvocato deve pretenderla.
Io faccio parte di una commissione permanente per le gare di appalto in un piccolo comune che, avendo buona cassa, fa molte opere piccole e grandi. Ebbene, negli ultimi dieci anni avremo fatto senza esagerare duecento gare di appalto, ma non abbiamo avuto un ricorso, anzi uno solo poi abbandonato perché palesemente infondato. Perché questo: perché non solo invitiamo le ditte a partecipare all’apertura delle buste ma abbiano stabilito un rapporto di collaborazio-ne tale che se nel corso della gara c’è qualche dubbio o qualche intoppo se ne discute subito confrontandosi e il problema si risolve prima di chiudere la verifica. Allo stesso modo le ditte sanno che dopo l’aggiudicazione provvisoria se ci fanno pervenire osservazioni le esaminiamo con sere-nità; oppure noi stessi commissari chiediamo chiarimenti o giustificazioni dell’offerta. Questa è partecipazione.
Allo stesso modo mi capita da consulente di comuni che mi vengano sottoposti ex ante i casi più disparati.
Di recente ad esempio, un comune ha rifatto la piazza principale e i lavori sono durati un certo tempo. Un esercizio commerciale ha chiesto stragiudizialmente un risarcimento per danni indiretti, sostenendo di aver subito uno sviamento della clientela dall’impraticabilità temporanea della piazza. Ho invitato la parte a documentare il danno con le dichiarazioni dei redditi. Ha scritto un collega che le ha mandate, ma ho constatato che i redditi erano saliti invece di scendere. Avrei dovuto far respingere la richiesta e invece ho chie-sto al funzionario di farmi chiamare dal collega che mi ha effettivamente chiamato e mi ha spiegato che la crescita del reddito è dovuta all’apertura di altro punto vendita sotto la stessa partita IVA. A questo punto, gli ho suggerito di farmi avere una relazione di un commercialista che distinguesse le poste contabili secondo centri di imputazione, cioè separando i due esercizi, in modo da mettermi in condizione di fare una valutazione specifica per il solo esercizio interessato. Abbiamo avuto uno scambio di idee in cui ho spiegato al collega che anche in un contenzioso avrebbe dovuto fare la stessa cosa. Lui si è convinto e mi farà avere la perizia di parte.

La partecipazione allora è un po’ come la sedia del dentista dove il paziente non è passivo e dorme come su un tavolo operatorio, ma è attivo può dire al dentista se sente dolore e il dentista si ferma o cambia metodo o aumenta l’anestetico.
In questo modo la sedia del dentista fa paura ugualmente, ma un po’ si resiste al dolore, un po’ il dentista è bravo e il dente o si toglie o guarisce.

Una recente decisione del Cons. Stato Sez. V, 07-10-2008, n.4893, relatore Marco Lipari, insegna che la partecipazione non è un contraddittorio pieno e costante in tutte le fasi del procedimento, ma nemmeno basta garantire la partecipazione all'inizio e alla fine del procedimento, perchè la partecipazione deve essere non meramente formale. Il contraddittorio dev’esserci durante le fasi principali del procedimento, ad esempio in modo particolarmente intenso nei procedimenti ablatori (gli espropri)
Nel caso specifico, l'amministrazione aveva comunicato l'avvio del procedimento, ma non aveva sollecitato il proprietario nell'attività di accertamento dello stato dei luoghi. Il C.S. ha ritenuto che non far partecipare il proprietario per esempio al sopralluogo non è corretto, perché è vero che anche dopo la parte può contestare le risultanze dell'istruttoria e fornire documenti o altre prove sull'effettiva consistenza, ma un conto è dialogare sul posto altro è parlarne dopo.
D’altronde, è questa l’esigenza che il legislatore ha avvertito con l’introduzione dell’art.10-bis nella 241, di cui vi è stato detto la scorsa volta: provocare la partecipazione quando l’istruttoria porta ad un provvedimento negativo. Dall’art.10 bis si coglie l’intenzione del legislatore di trasferire nel pro-cedimento l’esercizio degli interessi pretensivi, con garanzie e tutele fuori e prima di una causa, il che significa riconoscere al cittadino facoltà all’interno del procedimento, con spirito di scambio.
La comunicazione delle ragioni che impediscono di accogliere un’istanza è quindi un momento di collaborazione, non di difesa, che fa entrare il privato nel procedimento al fine di correggere “in corsa” eventuali disfunzioni, con l’effetto di evitare il contenzioso.

Ma tutto questo non vale solo per il procedimento amministrativo vale per ogni interesse della PA. Su questo punto è fondamentale ricordare la novità introdotta dall’art.11 n.241 la possibilità di concludere accordi, pur perseguendo il pubblico interesse. In altri termini, la P.A. è sempre vincolata al perseguimento dell'interesse pubblico, ma anche attraverso accordi esercita la pubblica funzione.
Questa innovazione è persino più importante del principio affermato dal nuovo art.1, comma 1 bis, secondo cui la P.A. agisce secondo il diritto privato –salvo diversa disposizione ad hoc– nell’adozione di atti non autoritativi.
Forse si è data più rilevanza a questo rispetto agli accordi anche se non è niente di nuovo, anzi riafferma la rilevanza del provvedimento amministrativo.
Devo ricordare che la riforma costituzionale elaborata dalla Commissione bicamerale (c.d. commissione D’Alema), prevedeva che le Pubbliche Amministrazioni, salvo i casi previsti dalla legge per ragioni di interesse pubblico, agissero sempre in base alle norme del diritto privato. Ugualmente l’originario testo della proposta di legge da cui è derivata la L.15-2005 (di iniziativa del prof. Cerulli Irelli), prevedeva che “salvi i casi di poteri amministrativi espressamente conferiti da leggi o da regolamenti, le amministrazioni pubbliche agiscono secondo le norme del diritto privato”. Per cui, l’attuale art.1 è addirittura riduttivo rispetto alle intenzioni iniziali.
Quindi, la vera novità della 241 è negli accordi, istituti di ispirazione privatistica, perché il rapporto si atteggia secondo la regola generale del sinallagma, anche se tra “diseguali”, perché l’amministrazione è sempre vincolata al perseguimento dell’interesse pubblico, ma è comunque vantaggioso che si possa pattuire fra pubblico e privato in molti casi.
Questo significa che, in proiezione, al primato dell’autorità tenderà a sostituirsi il primato del consenso: l’accordo sarà una nuova modalità di decisione amministrativa.
I funzionari si sentiranno sgravati? NO –si legga il comma 4 bis- l’organo che sarebbe competente ad adottare il provvedimento autoritativo è chiamato a pronunciarsi invece spiegando i motivi che inducono l’Amministrazione a concludere l’accordo piuttosto che adottare il provvedimento. Questo parere garantisce l’imparzialità ed il buon andamento, canoni costituzionali irrinunciabili, perché deve spiegare che l’accordo non viola diritti di terzi e che il suo contenuto è conforme all’interesse pubblico. Quindi, il funzionario non perde il suo ruolo anzi lo vede rafforzato.
Vi faccio un esempio.
Negli anni ’90 mi capitò una nota industria di acque minerali che ha sede in un piccolo paese. Era stato redatto il piano regolatore e il tecnico incaricato l’aveva fatto a tavolino –come sempre accade- con le carte catastali. Per questo motivo non aveva rilevato che c’era la concessione mineraria a favore di quest’industria che quindi aveva non solo bisogno, ma anche tutto il diritto di ampliare i propri spazi, tant’è che oggi è una delle prime a livello nazionale.
Erano stati consultati architetti di fama, professori di urbanistica, un noto avvocato professore amministrativista, ma non si era cavato un ragno dal buco, soprattutto perché il privato riteneva di essere stato danneggiato dall’omissione e pre-tendeva la revisione del piano; il Comune non aveva soldi in cassa per conferire un nuovo incarico e comunque il piano era stato ormai approvato anche dalla Regione.
Un tecnico di fiducia della società che altre volte aveva lavorato con me mi chiese di farmi una chiacchierata con l’amministratore e da lì ebbi l’incarico di andare a parlare con il Comune.
Non ve la porto a lungo: risolvemmo il problema facendo un accordo ante litteram. La società avrebbe presentato a proprie cure e spese una variante al piano regolatore che il Comune avrebbe potuto far propria e si stabilirono oneri reciproci, nel senso che sarebbe stata prevista una arborazione della zona circostante in modo da salvaguardare l’ambiente, e sarebbero state realizzate opere di servizio dell’industria.
Cosicché il tecnico dell’azienda ed io ci trovammo un professore universitario di urbanistica che fece insieme a noi la variante. Io molto modestamente discussi con loro solo alcune soluzioni e mi occupai della parte normativa. Oggi quell’azienda ha molti spazi di espansione, rispetta l’ambiente e, nonostante stia in riva ad un fiume non inquina, anzi contribuisce a manutenere gli argini perché ha interesse a che non gli straripi nei capannoni e il paese ha un contribuente importante, perché il tutto si risolve anche in tirbuti locali (TARSU, ICI), e s’è creata occupazione, perché, ovviamente, ampliandosi, la società ha assunto.
L’accordo ha avuto successo.

Capita spesso purtroppo che gli strumenti urbanistici siano redatti a tavolino: in questi casi la partecipazione evita che i Comuni subiscano intralci dalle proteste e dalle pretese dei privati. Ricordo ad esempio che nel redigere un pip (piano insediamenti produttivi) il tecnico incaricato, agendo sempre sulla carta, non rilevò un pozzo artesiano che finiva al centro di un incrocio di vie di servizio dell’area. In quel caso io assistevo il Comune, suggerii di fermare il procedimento appe-na il privato inviò una protesta e di parlarne per trovare una soluzione, ma nessuno volle darmi retta. Risultato: ricorso al TAR, sospensiva e bisognò fare un accordo iugulatorio in cui il privato pretese tantissimo, per una questione che era diventata di principio.
In questo caso, per non fare un accordo preventivo la PA ha subito un danno enorme.

E’ chiaro che non sempre si può accontentare il privato e che più spesso si è obbligati dall’interesse pubblico, ma questo non deve servire da alibi per trascurare il dialogo: un privato collaborativo anche nelle situazioni di obbligo è sempre meglio di un privato arrabbiato. Si pensi all’esproprio: un privato al quale si spiega l’indispensabilità dell’opera è sempre meglio di un privato che fa ricorso, che contesta la stima. E anche in questo caso l’avvocato può avere un ruolo importante: da un lato può spiegare al cliente le ragioni dell’amministrazione ed evitare inutili contenziosi, dall’altro può trattare ad esempio sull’indennità di esproprio e pervenire ad una cessione volontaria ad un prezzo conveniente, contrattare anche interventi meno invasivi o aggiustamenti progettuali che si risolvano in un certo vantaggio del proprio assistito.
Ma pensate anche ad un altro strumento di partecipazione rinnovato dalla legge 15 nella 241: la conferenza di servizi. Inizialmente serviva solo a coordinare l’intervento di più amministrazioni, quindi era strumento dell’amministrazione, oggi è strumento del privato, in materia, ad esempio, di im-pianti produttivi, ma anche di centri commerciali o comunque di tutto ciò che al momento non può realizzarsi per impedimenti concreti regolamentari o che comporta l’intervento di più autorità nel procedimento.
Attraverso la conferenza di servizi il privato dialoga e riesce ad ottenere di tutto in poco tempo, grazie a termini stringenti che vi andrete a leggere nella legge ed al fatto che non è più necessaria l’unanimità per avere un provvedimento favorevole, o un assenso preventivo ad istanze o progetti preliminari. Importante novità nella novità è la conferenza “predecisoria”: se un cliente presenta un progetto di particolare complessità, ma specialmente per insediamenti produttivi, può presentare uno studio di fattibilità e farselo preventivamente approvare, partecipando all’esame a mezzo di propri consulenti, tra cui l’avvocato. Qualcuna l’ho fatta anch’io.
In questo modo si snellisce il procedimento.
Alla fine l’amministrazione conclude il procedimento, tenendo conto delle posizioni prevalenti. Questa è un’altra novità. Attenzione alle parole: non si richiede la maggioranza, ma la prevalenza, che non è solo fatto linguistico. Il criterio della maggioranza infatti voleva il semplice conto delle Amministrazioni intervenute, il quorum; invece la valutazione della rilevanza implica la valutazione sostanziale dell’importanza e del tipo di attribuzioni proprie di ciascuna Amministrazione coinvolta. Il dissenso esplicito di una delle Amministrazioni rileva solo se qualificato, ossia proviene da amministrazione preposta alla tutela di interessi rilevanti o specifici; più che altro la Regione nelle materie costituzionali di deregulation.
Infine, il caso di mancata partecipazione non è ostativo all’adozione del provvedimento.

Mi avvio alla conclusione dando qualche dritta in più ai colleghi.
Il mercato della nostra professione è diventato strettissimo, i nostri spazi si sono ridotti considerevolmente e di contro stiamo aumentando in maniera esponenziale. Ho letto nella relazione del I Presidente della Cassazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario del 30 gennaio scorso che guarda con sconcerto al numero di avvocati in Italia, ben superiore alla media europea: un avvocato a famiglia, per-ché c’è il turn over delle assunzioni, non si fanno concorsi, c’è contrazione della domanda di lavoro e tutti si buttano nel-la libera professione.
Altre categorie hanno trovato spazi diversi: gli ingegneri ad esempio nella sicurezza, nell’ambiente, i geometri nei condoni e nelle ristrutturazioni, i notai fanno di tutto, anche le esecuzioni immobiliari, i commercialisti si occupano di finanziamenti europei, revisione contabile.
I nostri spazi giudiziali si stanno invece stringendo. Leggete anche voi la relazione del Presidente Carbone e vedrete che cosa si sta preparando per far contrarre il contenzioso.
La 241 allora è per noi la manna da adoperare per un nuovo volto della professione. Dobbiamo cambiare i nostri orizzonti, studiare certamente il diritto amministrativo, ma soprattutto fare pratica in campi diversi dai nostri.
Mi rivolgo specialmente ai giovani colleghi, che vedo affaccendati in molti negli ambiti universitari, per fregiarsi del titolo di assistente di questa o quella cattedra o per avere il contrattino che assicuri quel piccolo reddito, che sa molto di assistenzialismo e poco di professione.
Restituite dignità alla professione prediligendo la ricerca e lo studio in campi nuovi e il diritto amministrativo è il campo nuovo.
Il consenso che caratterizzerà in futuro i rapporti con la PA non significa che sarà superato il diritto amministrativo, anzi. Il diritto amministrativo sarà sempre necessario e sarà istituzionalmente deputato alla cura degli interessi della collettività. Il nuovo diritto amministrativo appare destinato a diven-tare una realtà profondamente diversa, soprattutto nelle sue modalità operative, come ho cercato succintamente di illustrare.
L’attuale concezione del diritto amministrativo è di esercizio dei compiti pubblici non più in forza di autorità, bensì della collaborazione, con ampliamento della sfera del c.d. diritto amministrativo paritario, in ossequio all’esigenza sempre più avvertita, oggi come mera spes, domani come realtà, di permettere la partecipazione diretta del cittadino all’esercizio dei poteri amministrativi.
Quindi, saranno richiesti consulenti delle pubbliche ammini-strazioni e per i contatti con le PPAA.
Credo in un futuro di specialità, ma non facendo le scuole di specializzazione. Io non ne ho fatte. La specialità è nella conoscenza di materie diverse, extragiuridiche. Da praticante volendo fare tributario facevo contemporaneamente prati-ca da un commercialista e se oggi so leggere una contabilità o un bilancio lo devo a lui. A che mi serve? Pensate di dover cautelare un cliente e dovete dimostrare che il debitore fa carte false o non offre garanzie, se non sapete leggere un bilancio spesso non sapete che scrivere in punto di periculum.
Poi vennero le televisioni private e io seguii i tecnici sulle postazioni a smontare apparecchiature a vedere come è fatto un impianto di trasmissione, per cui so spiegare ad un Giudice come funziona. Pochi giorni fa un Giudice civile, investito di una causa per occupazione abusiva di suolo pubblico con un impianto televisivo, non riusciva a capire la dif-ferenza fra impianto e postazione e non comprendeva in che cosa potesse consistere la mera attività di manutenzione di un impianto rispetto all’attività di trasmissione. Gliel’ho spie-gato in parole povere. Non so se ha capito, ma ho potuto almeno spiegarglielo.
Poi mi sono dato all’urbanistica e mi sono incollato a molti tecnici, riuscendo a capire e carpire quei segreti che mi consentono oggi di dire ad un tecnico comunale dove vuole andare a parare un progettista o quale trucco si nasconda dietro una richiesta di permesso a costruire o di suggerire ad un cliente come aggirare un ostacolo regolamentare facendo redigere il progetto in un certo modo o come e quando si fa un POR o come si fa un consolidamento strutturale.
Ultimamente ho scritto io una perizia di parte in una causa civile di danneggiamento strutturale, perché il mio tecnico di parte, ingegnere, non mi aveva soddisfatto, e il CTU, devo dire, molto onestamente, davanti al Giudice, ha dichiarato che le mie argomentazione tecniche erano fondate.

Allora, concludendo, giovani colleghi non cercate incarichi che vi portano oggi denaro ma domani potrebbero essere la fame, non perdete tempo a fregiarvi di titoli, studiate, imparate, e usate la 241 per affermare un nuovo e diverso ruolo dell’avvocato, non più o non solo difensore, ma un professionista che lavora ex ante, che sa indicare strade da percorrere, trucchi normativi, che sa leggere le norme e sa offrire soluzioni, che possiede l’elasticità per affrontare i problemi con competenza, andando a convincere il funzionario a fare e non a trincerarsi dietro un ossequio formale che è ingiustizia sostanziale.
Portiamo la gente a capire che l’avvocato non è il becchino delle cause perse, ma il primario che interviene a salvare le vite prima che la malattia si cronicizzi.
Perché -parliamoci chiaro- con i tempi della giustizia oggi non si risolve alcun problema, un permesso a costruire dopo cinque anni è una sconfitta, un’autorizzazione commerciale fra tre anni è una perdita economica secca, un’indennità di esproprio agli eredi dell’espropriato dopo una transazione che costringe a rinunciare al 50% e agli interessi è un’ingiustizia.
Ecco a che serve la 241: a non perdere tempo, a risolvere i problemi, a far bene la professione e, specie per i funzionari, ad evitare la galera.

Grazie. Se vi ho tediato, credete che non l’ho fatto apposta.
    
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